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Tuo figlio che attaccamento ha?

Published by sinergicamente at Settembre 17, 2019
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attaccamento

L’attaccamento è proprio quel comportamento che porta l’individuo a mantenere la vicinanza fisica con un’altra persona considerata in grado di affrontare il mondo. Si attiva tutte le volte in cui la persona è spaventata o malata e si attenua quando si ricevono cure e protezione (Bowlby).

Fin da piccoli e per tutta la durata della nostra vita, abbiamo bisogno di costruire relazioni di attaccamento e sentirci al sicuro, soprattutto nei momenti di bisogno.  L’attaccamento è proprio quel comportamento che porta l’individuo a mantenere la vicinanza fisica con un’altra persona considerata in grado di affrontare il mondo. Si attiva tutte le volte in cui la persona è spaventata o malata e si attenua quando si ricevono cure e protezione (Bowlby).

La prima forma di interazione sociale, e quindi di attaccamento, avviene proprio con la figura genitoriale, generalmente la madre, e sarà quel tipo di relazione a prepararci al mondo, a regolare i legami affettivi e a costruire modi di agire con l’altro. L’interazione tra il bambino e il genitore avviene attraverso le prime forme di linguaggio non verbale, caratterizzato dal contatto oculare, le smorfie, il pianto, i sorrisi … e successivamente con i vocalizzi, il puntare il dito verso gli oggetti, fino al linguaggio verbale vero e proprio.  Questo legame ripetuto nel tempo aiuta a promuovere un sano sviluppo psicologico e fisico del bambino e a regolare l’affettività. Il bambino e il genitore sono sintonizzati emotivamente, ciò significa che al bisogno del bambino, la mamma e/o il papà riconoscono quello specifico bisogno e restituiscono al proprio piccolo un senso di contenimento. Il bambino, pian piano, imparerà che può contare sulla sua mamma e il suo papà in condizioni di pericolo, insicurezza, disagio o per ricercare un senso di protezione. La sintonia affettiva non si manifesta solo in condizioni di disagio del bambino, ma viene rafforzata anche dalle esperienze di gioco, di condivisione di stati emotivi, di regole imposte. Saper insegnare al proprio figlio a regolare le esperienze negative permette al bambino di sviluppare un buon adattamento, una buona resilienza e una buona tolleranza alla frustrazione.

Esistono 4 tipi di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente e disorganizzato.

  1. L’attaccamento sicuro è caratterizzato da una buona sintonizzazione emotiva tra madre e bambino. Sono bambini che esplorano senza difficoltà l’ambiente esterno,  capaci di costruire legami affettivi e di tollerare emozioni spiacevoli, esprimono disagio se il genitore si allontana ma trovano consolazione e rassicurazione quando vedono la figura materna/paterna. Le madri rappresentano una base sicura, sono capaci di leggere i segnali di bisogno dei figli, riescono a tranquillizzare il piccolo nelle difficoltà, sostengono l’esplorazione e incoraggiano l’autonomia.

Sono bambini che da adulti si sentono sicuri, autonomi, a proprio agio, ben adattati al contesto e alle diverse situazioni, chiedono supporto in condizioni di disagio, gestiscono in maniera adattiva le frustrazioni.

  • L’attaccamento insicuro evitante è basato sulla poca sintonizzazione affettiva, scarso contatto fisico, evitamento di sguardi reciproci. Sono bambini chiusi, distanti, non comunicano alcuna forma di malessere e di fronte alle difficoltà tendono ad autoregolarsi. Non cercano supporto negli altri ed evitano la condivisione dei propri stati affettivi. Le madri di bambini evitanti bloccano il contatto e la vicinanza affettiva, reagendo con chiusura e respingendo il bambino. Da adulti sviluppano una falsa autonomia, tendono a reprimere le emozioni e a credere di poter contare solo su sé stessi, senza alcun aiuto e supporto sociale e di non dover dipendere dagli altri.
  •  L’attaccamento insicuro ambivalente è caratterizzato da segnali contraddittori e imprevedibili sulla presenza e vicinanza materna. Sono bambini insicuri, hanno paura dell’abbandono e non si fidano della disponibilità del genitore. Spesso sono arrabbiati, turbati, preoccupati, ansiosi e hanno una bassa tolleranza allo stress e scarsa adattabilità al cambiamento. Le madri non riescono a confortare e contenere il bambino e non rispondono in modo coerente ai loro bisogni emotivi di cura e rassicurazione. Possono essere madri iperprotettive e intrusive, con emozioni ambivalenti (rabbia se sentono il loro ruolo minacciato e  amore quando si attiva l’accudimento).  Di conseguenza si crea una relazione di competizione e di sfida, in cui la rabbia è l’emozione dominante. La rabbia del bambino è dovuta al bisogno di supporto non ricevuto e al desiderio di affetto, attenzione e protezione, mentre la rabbia genitoriale deriva dal  non sentirsi sufficientemente adeguati. Da adulti sviluppano una dipendenza relazionale e affettiva, non tollerano la solitudine e non sentono mai la protezione e la comprensione dell’altro, soprattutto nelle relazioni intime.
  • L’attaccamento disorganizzato è caratterizzato da bambini spaventati, che vivono l’abbandono e forme di abuso verbale, fisico, emotivo o sessuale da parte dell’adulto che si prende cura di loro. Sono bambini traumatizzati, non protetti e trascurati emotivamente. I genitori sono spaventati dalle richieste di accudimento dei figli e tendono a percepirli come minacciosi. Spesso il pianto del bambino può attivare nell’adulto genitore situazioni traumatiche e causare un distacco dalla realtà.  Sono genitori che possono agire aggressivamente, mostrare forme di chiusura relazionale verso il figlio o cambiare improvvisamente umore e il loro stato mentale.

Questi bambini, da adulti, potrebbero sviluppare stati psicopatologici, con gravi forme di disadattamento e compromissione sul piano affettivo e relazionale.

La relazione che si costruisce nel tempo con il proprio figlio è precursore indispensabile della personalità e di un sano ed equilibrato sviluppo psicofisico. I genitori hanno un compito importante, creare il futuro adulto e il futuro genitore.

Dott.ssa Raffaela Massa, psicoterapeuta

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1 Comment

  1. VeroV. ha detto:
    Settembre 17, 2019 @ 10:37 pm

    Considerare il “mestiere” di genitore come un arduo compito è assolutamente riduttivo. L’accompagnare un figlio lungo il proprio cammino di crescita è un processo troppo spesso sottovalutato: non per una necessaria mancanza d’amore, ma direi piuttosto per l’ostentata e non calibrata presunzione di essere già in grado di fare la cosa giusta, e cioè di guidare lo sviluppo fisico ed emotivo del proprio bambino senza mai mostrare fragilità ed insicurezza e rifiutando così ogni forma di aiuto. Sicuramente ogni gesto e fatto a fin di bene, ma è altrettanto certo che avrà un peso nella vita del figlio. Prima di intraprendere un percorso introspettivo e psicoterapeutico non ero assolutamente a conoscenza di quanto riportato sopra, cercando delle risposte tanto soggettive quanto forzatamente adatte alla gestione delle mie relazioni personali. Adesso sono assolutamente consapevole e dannatamente certa di quanto il rapporto genitore-figlio sia fondamentale ed altrettanto difficoltoso da coltivare, ritrovandomi a pieno in una delle tre situazioni descritte. Tuttavia, nonostante l’evidenza, mi rendo conto di quanto, chi ignora o chi vuole volutamente ignorare, non riesca a comprendere quanto possa essere importante stare attenti “al particolare”, e cioè al non lasciare nessun gesto e/o comportamento al caso.
    Non mi è mai mancato nulla dai miei genitori, entrambi presentissimi, ma i dettagli negli sguardi, nei gesti e nelle parole vanno sempre valorizzati con la giusta importanza. Nella speranza di diventare in futuro un buon genitore….

    Una figlia.

    P.S. Grazie mille Dott.ssa Massa: per la sui professionalità e per il suo aiuto.

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